Associazione Culturale Mariangela Virgili
La Selva Cimina
Si citano sempre e da tutti le famose parole di Tito Livio a
riguardo della Selva Cimina: esse però sono più letterarie e di
costume che scientifiche. E quasi tutti sono rimasti a questo punto, perché
ancora uno studio sistematico ed impegnato non è stato fatto, per quanto mi
è dato da conoscere. Eppure sarebbe molto utile sotto ogni punto di vista :
quello botanico - forestale, quello climatico - ambientale, quello
estimativo- commerciale ed altri. Un riflesso che va al di la della
risonanza letteraria, comunque si può raccogliere dalle parole di Tito
Livio ed il fatto che qui nell'Italia centrale non c'era altra Selva così
grandiosa, estesa ed importante, come quella Cimina; e di riflesso anche se
lo stesso Livio se ne serve per esaltare l'ardimento guerriero di
Quinto Fabio rulliano e dell'esercito Romano, c'è da riconoscere che i
Falisci e poi gli Etruschi l'hanno saputa ben usare e sfruttare. Ma una
prima domanda sorge spontanea: dove era precisamente e quanta era la sua
estensione? Purtroppo, dato che non ci sono ricerche specifiche, non si può
dare una risposta esauriente e quindi precisa. Senz'altro copriva tutti i
monti Cimini, che del resto ancora oggi sono ricoperti da boschi. Ma si
estendeva fino alle pendici che scendono al piano dai due versanti
meridionali e settentrionali e settentrionale fino alle antiche città di
Sutri, Nepi, e Falerii Veteres a sud; fino a Fescennia, Horta Ferento e
Blera a nord e nord-ovest . Anzi girando a nord-ovest di Sutri una grossa
propagine arrivava ai Monti Sabatini intorno al Lago di Bracciano, compresi
Monte Calvi e Rocca Romana da una parte e fino all'odierna Manziana
dall'altra.
Questa risorsa naturale di una ricchezza, tanto preziosa per l'uomo
di tutti i tempi, fu molto ben usata dagli antichi popoli Falisci ed
Etruschi e poi da Roma. La terranea, dove alle piante di alto fusto, faggi,
querce,farnie, lentischi,castagni si aggrovigliavano tutti gli arbusti e i
fruttici del sottobosco, rendendo in tal maniera impraticabile ogni
sentiero, se non veniva tenuto sgombro dalla mano dell'uomo. E per di la,
inoltrandosi in essa era facile perdere l'orientamento e vagare cosi alla
ventura. Questi fattori costituirono una difesa-rifugio per i popoli
Falisci-Etruschi: e perciò le forti apprensioni dei Senatori Romani, quando
seppero che un console aveva osato tanto, non erano del tutto
ingiustificate, perchè anche il nome di imboscata dice quante insidie
poteva nascondere.
Per i Falisci-Etruschi era il loro rifugio naturale: e l'usarono
fino a quando poterono. Ma contro l'ardimento di un Console deciso e più
contro l'organizzazione così fortemente centralizzata del nuovo Stato
romano a nulla valse la poco salda politica federativa delle città
Falisce-Etrusche e nemmeno la superiorità di una civiltà avanzata nella
tecnica ma debole nella struttura sociale. Ma i Falisci-Etruschi ebbero
prima tempo e maniera di servirsi della Selva Cimina come fonte ricca di
risorse per la loro arte , da abili tecnici che erano.
La prima cosa che fecero vi tracciarono strade e tutto il sistema
di comunicazioni viarie tra le varie città, seguendo l'andamento delle
valli e dei piani; e solamente quando non ne poterono fare a meno
attraversarono la Selva Cimina. Seguirono un solo attraversamento diretto
principale che tagliava la Selva da Sutri a Ferento con diramazioni ad est
verso Falerii Veteres ead ovest verso Blera.La via si chiamò via Cimina o
cimina, ma il tracciato era differente da quello di oggi.
Gli Etruschi erano anche un popolo di navigatori ed avevano
traffici con molte città d'Italia e del Mediterraneo: quindi avevano
bisogno di costruire navi capaci di trasportare grossi quantitativi di
merce. La Selva Cimina gli forniva ottimo e abbondante materiale al
riguardo. Avevano asce e seghe atte al taglio degli alberi e potevano
preparare tutto il materiale necessario. Avevano pure bisogno di carbone di
ottima qualità per fondere e forgiare metalli, specialmente bronzo e ferro;
e la Selva Cimina li riforniva di esso.
Insomma una vera e propria industria sorse con gli Etruschi nella
zona della Selva Cimina. Per questo oltre le città come Sutri, Nepi,
Falerii Veteres, ebbero bisogno dall'inizio dell'epoca Falisca, di piccoli
"vici" in cui dislocare operai ed attrezzatura sufficienti, oltre
che alla coltivazione dei campi, all'industria del legno.Il Vicus
Falesco-Etrusco è proprio nella nostra zona: fino alla tarda età classica e
poi per tutta la prima età medioevale abbiamo nella nostra zona una
grande quantità di vici che intorno al secolo X° si trasformarono in
altrettanticastra, dando così vita ed avvio ai moderni centri abitati della
zona. Ancora oggi è rimasto il nome del Lago di Vico, che vuole appunto
sottolineare un toponimo molto ricorrente e reso poi illustre dalla
famiglia dei Prefetti. Per tutti questi motivi penso che non è azzardato
collocare a Ronciglione uno o più di questi vicus falisco-etrusco con le
funzioni che ho accennato. La posizione del luogo ha potuto favorire tali
insediamenti, come l'abbondanza delle acque e dei boschi gliene ha dato la
caratteristica preferenziale.
Si possono individuare, ben quattro insediamenti di questo genere,
di vicus falisco-etruschi, che hanno lasciato ancora delle tracce evidenti;
e quindi non sono affatto immaginari. Essi sono:
- L'area di S.
Eusebio - Procoio - Romagnano.
- Quella della Provvidenza
e del centro abitato
- Quella di
Pizza Vascella - Parietario - Grotte Catena.
- Quella di
Poggi dei Sorci - Pian del Fico.
Credo che Ronciglione sia da catalogare come un centro Etrusco, non
certo della portata degli altri ben noti della nostra regione, ma almeno
tenere conto, se non altro per scoprire che i nostri antichi popoli, prima
di Roma avevano una attività degna di essere ricordata e valorizzata a
dovere.
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